In Italia città sempre più calde per colpa del cemento e della mancanza di alberi

Durante l’estate nelle grandi città si verifica un particolare fenomeno microclimatico. Si chiama effetto isola di calore e implica un “surriscaldamento” delle zone urbane centrali che, appunto, diventano più calde rispetto alle aree limitrofe o a quelle rurali.

Una delle cause principali di questo evento dipende dal rapporto, asimmetrico, tra presenza di alberi e cementificazione (le superfici impermeabili): i due elementi che più caratterizzano l’ecosistema cittadino.

«Il fenomeno dell’isola di calore – sottolinea l’ingegnere ambientale dell’Ispra Michele Munafò – ci indica che l’espansione urbana, la cementificazione e una pianificazione poco attenta a preservare il verde in città possono avere un impatto sanitario e influenzare negativamente il benessere e la qualità della vita nelle nostre città. Si deve considerare, inoltre, che il consumo di suolo è legato anche ad altri fenomeni negativi: può ad esempio degradare il paesaggio e ridurre la biodiversità».

Oggi più della metà della popolazione mondiale vive nei centri urbani. In Italia, i numeri sono ancora più importanti: il 70% della popolazione (circa 42 milioni di persone). Anche per questo è sempre più alta l’attenzione agli studi che indagano la vivibilità di questi ambienti.

Il report “Isole di calore urbane superficiali nelle città metropolitane italiane: copertura arborea e influenze superficiali impermeabili”, frutto della collaborazione di Cnr-Ibe (l’Istituto per la bioeconomia) e l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), mostra una inedita mappatura del problema.

«Lo scopo dello studio – si legge nel documento – è stato quello di indagare il fenomeno dell’isola di calore urbano diurno estivo e il ruolo svolto dalle superfici impermeabili e di copertura arborea nelle 10 città metropolitane peninsulari italiane».

Caldo estivo in città: pochi alberi e consumo di suolo
Studio #CnrIbe e #Ispra svela che l’intensità delle isole di calore estive è particolarmente elevata nelle città dell’entroterra e cresce in relazione a ridotta copertura arborea e impermeabilizzazionehttps://t.co/6zx6BNxGHV pic.twitter.com/kHrkzPZ8cq

— Ufficio Stampa Cnr (@StampaCnr) September 30, 2020

Quindi: le superfici asfaltate, che assorbono il calore e impediscono una corretta traspirazione ed evaporazione del terreno, e le aree verdi urbane influiscono sull’aumento locale delle temperature che si registra in città. Dallo studio è emerso anche un altro dato: tanto più grandi e compatti sono i centri urbani tanto maggiore sarà l’aumento termico (che può arrivare a 6°).

«Così le nostre città – sottolinea Munafò – diventano sempre più calde con gravi conseguenze per la salute dei cittadini (in particolare i soggetti più anziani) e per i consumi energetici (causando ad esempio il maggior uso di impianti di condizionamento)».

Lo studio ha preso in considerazione i centri urbani composti dal loro nucleo metropolitano, rappresentato dal comune principale, dai comuni confinanti e da quelli periferici. Sotto la lente d’ingrandimento anche la loro dimensione e la distanza dal mare. Le città analizzate sono state Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

Le isole di calore più intense sono state osservate nelle città dell’entroterra e di maggiori dimensioni. «Il fenomeno più importante – evidenzia lo studio – è stato osservato a Torino (la più grande città metropolitana italiana): per ogni aumento del 10% nelle aree con superfici altamente impermeabili e basse densità di copertura arborea nel nucleo metropolitano, il fenomeno dell’isola di calore significativamente è aumentato di 4,0 ° C. L’aumento delle superfici impermeabili combinate con le basse densità di copertura degli alberi ha rappresentato il principale processo di spinta per aumentare la temperatura superficiale terrestre nelle città studiate».

I ricercatori impegnati nello studio hanno prodotto un nuovo strumento informativo, chiamato “Urban Surface Landscape layer”, che rappresenta un indicatore di copertura superficiale del paesaggio urbano capace di identificare le zone delle città caratterizzate da differenti combinazioni di densità di consumo di suolo e copertura arborea e in grado di individuare aree critiche urbane, con elevate temperature superficiali, che necessitano di azioni di mitigazione e in particolare di una intensificazione della copertura arborea.

«Non è semplice – confessa Munafò – migliorare la situazione in aree urbane spesso mal pianificate come quelle italiane e in cui l’espansione, che dal dopoguerra continua ancora oggi, ha portato a percentuali di aree costruite molto elevate e spesso in evidente stato di degrado, riducendo, di conseguenza, la presenza delle aree verdi».

Secondo l’ingegnere ambientale si dovrebbe, innanzitutto, impedire la cementificazione di nuove aree agricole e naturali, preservando allo stesso tempo tutti gli spazi aperti all’interno del tessuto urbano. «Quindi, si dovrebbero considerare azioni di rinverdimento e “riforestazione” favorendo così la ventilazione naturale nei centri urbani, ma anche intervenendo per demolire costruzioni degradate e dismesse, ripristinando il suolo naturale».

I risultati prodotti da studi come questo sono utili non solo per identificare le aree critiche ma, soprattutto, per attuare le strategie di mitigazione più efficienti al fine di salvaguardare il vulnerabile ambiente urbano e migliorare la qualità della vita della popolazione. «Ciò che si può imparare da questi dati – conclude Munafò – è la necessità di fermare urgentemente il consumo di suolo e adottare politiche di riqualificazione e rigenerazione urbana che tutelino e aumentino la presenza del verde e delle aree non costruite».

Fonte: www.linkiesta.it